Sfruttamento minorile

INTRODUZIONE

Secondo i dati diffusi dall’Unicef (l’organizzazione dell’ONU che si occupa di tutelare i diritti dell’infanzia) i bambini costretti a una vita di lavoro, senza istruzione né svaghi, sono nel mondo oltre 200 milioni.

L’Unicef distingue tra child labour, il vero e proprio sfruttamento lavorativo, quello che danneggia la salute psico-fisica del bambino, e children’s work, un tipo di occupazione più leggera, che si svolge spesso nell’azienda di famiglia, che non pregiudica la salute del minore e non ne ostacola l’istruzione.

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Sempre secondo l’Unicef, sono più di 100 milioni i bambini impiegati in attività pericolose, nelle miniere, ad esempio, o in lavori agricoli a contatto con pesticidi e altre sostanze chimiche nocive. Migliaia sono i minori impegnati in guerre e guerriglie (i cosiddetti bambini-soldato), reclutati spesso mediante rapimenti di massa e costretti a combattere e uccidere con minacce, violenze e uso di sostanze stupefacenti.

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Tra le forme di sfruttamento minorile rientrano anche i lavori di strada, cioè l’impiego dei bambini per la raccolta dei rifiuti da riciclare o la vendita di cibo e bevande.

Particolarmente detestabile è lo sfruttamento sessuale dei minori, che, comprati e venduti come una merce qualsiasi, sono schiavizzati e sfruttati per il sesso a pagamento o per la produzione di materiale pornografico.

Si ritiene che oggi nel mondo siano 2 milioni i bambini che sono sottoposti ad altre di sfruttamento sessuale, per un giro d’affari di oltre 5 miliardi di dollari.

 

LOCALIZZAZIONE

Poiché la povertà è la principale causa dello sfruttamento minorile, questo fenomeno è presente soprattutto nei paesi poco sviluppati, che utilizzano i piccoli lavoratori nel settore agricolo (nel 70% dei casi), nella pesca, nelle miniere, nelle industrie e nei laboratori artigianali per produrre ad esempio tappeti, scarpe, palloni, nelle case come domestici-schiavi.

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Secondo i dati diffusi nel 2004 dall’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro), la maggior parte dei bambini di età inferiore a 14 anni costretti a lavorare vive nelle regioni dell’Asia e del Pacifico (oltre 120 milioni, il 20% circa del totale dei bambini di quella fascia d’età).

Al secondo posto troviamo l’Africa subsahariana (circa 50 milioni), che però ha la percentuale più alta di bambini sotto il 14 anni costretti a lavorare. Nell’area America Latina-Caraibi lavorano più di 5 milioni di bambini, in Medio Oriente e Nord Africa circa 13 milioni.

Nemmeno i paesi industrializzati sono esenti da questa piaga: nel 2000 si stimava in 2 milioni e mezzo il numero di bambini di età inferiore a quindici anni impiegati nel lavoro.

 

CAUSE

Come si è già detto, la causa principale del problema è la povertà. Questo vale in particolare per i paesi poveri, dove il minore è costretto a lavorare precocemente per contribuire al reddito familiare ai fini della sopravvivenza, spesso a causa della morte o della malattia di un genitore, oppure dell’indebitamento della famiglia, o ancora dell’arrivo di nuovi nati da sfamare.

Nei paesi ricchi, dove il lavoro precoce è in genere regolamentato e raramente impedisce la frequenza scolastica, le cause sono un po’ diverse. Il minore lavora in certi casi per contribuire al contenimento dei costi (ad esempio lavorando nell’azienda di famiglia), in altri per poter soddisfare bisogni secondari (avere più soldi in tasca vuol dire infatti potersi permettere l’acquisto di più cose). La motivazione economica quindi è valida anche per i paesi ricchi, ma, a differenza di quanto avviene nei paesi poveri, non è quasi mai legata a motivi di sopravvivenza.

 

CONSEGUENZE

Molti governanti dei paesi del Sud del Mondo pensano che il lavoro minorile contribuisca a far migliorare la bilancia dei pagamenti del proprio paese e quindi permettono questa pratica illegale. Di fatto il lavoro minorile ha conseguenze negative non solo per il singolo bambino, a cui viene impedito il pieno sviluppo psico-fisico, ma anche per la società e per l’economia dell’intero stato. Una generazione di giovani che non sono capaci di leggere e scrivere e che non hanno coscienza dei propri diritti, infatti,  sarà costretta per tutta la vita ad accontentarsi di lavori umili e poco retribuiti, rimarrà nella povertà e metterà al mondo tanti figli; pertanto non potrà partecipare costruttivamente e coscientemente alla vita sociale del proprio paese, né impegnarsi per migliorarla.

lavoro minori By Ikiwaner

Per la singola famiglia il lavoro di un bambino può anche significare guadagno immediato, ma in prospettiva si rivela un danno notevole per la famiglia stessa e per la comunità tutta, in quanto fa sì che vengano “bruciate” le migliori potenzialità di sviluppo di cui un paese dispone.

 

STORIA E LETTERATURA

È assai probabile che i bambini siano stati impiegati nel lavoro fin dai tempi più remoti: nelle opere di storici e scrittori dell’antichità sono numerosi infatti i riferimenti a forme di lavoro minorile nel mondo agricolo e pastorale.

È però dall’epoca della Rivoluzione industriale che il fenomeno inizia a diffondersi su larga scala: nei secoli XVIII e XIX i bambini lavoravano nelle fabbriche fino a quindici ore al giorno e venivano pagati di norma la metà degli uomini adulti.

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Due grandi scrittori dell’Ottocento hanno affrontato nelle proprie opere il tema dello sfruttamento minorile: l’inglese Charles Dickens e l’italiano Giovanni Verga.

Nel romanzo Oliver Twist Charles Dickens presenta la situazione drammatica di un piccolo orfano che, dopo aver passato alcuni anni in orfanotrofio, tra sofferenze e soprusi,  all’età di nove anni viene mandato a lavorare presso un fabbricante di bare, che lo maltratta e lo picchia. Oliver, esasperato, dopo poco tempo scappa e va a cercare fortuna in città. Qui viene reclutato, insieme ad altri ragazzi, in una banda di ladruncoli che ha come capo un vecchio ebreo. Dopo varie vicissitudini, tra cui un arresto per furto, il passaggio forzato a un’altra banda e un ferimento, Oliver viene tolto dalla strada e adottato da un agiato signore.

Oliver Twist

La novella di Giovanni Verga Rosso Malpelo parla della triste vicenda di un ragazzo siciliano, vittima dei pregiudizi dei compaesani a causa del colore rosso dei suoi capelli. il ragazzo, chiamato dalla gente Rosso Malpelo, lavora insieme al padre in una cava, dove è maltrattato da tutti, ad eccezione del genitore, che è l’unico a volergli davvero bene. Un giorno, però, il padre, che aveva accettato un lavoro rischioso e malpagato, muore in miniera a causa di un crollo. Malpelo da quel momento diventa sempre più cinico e cattivo agli occhi degli altri. La madre e la sorella sono incapaci di dargli affetto e tengono a lui solo per i soldi che porta a casa. Malpelo allora si affeziona, a suo modo, a un ragazzino debole e malaticcio che viene a lavorare alla cava, ma dopo poco tempo, a causa della tubercolosi, anche Ranocchio muore. A Malpelo un giorno viene proposto il pericolosissimo compito di esplorare una galleria ancora sconosciuta; il ragazzo, sapendo che nessuno si sarebbe preoccupato per lui, accetta e si inoltra nella miniera per non fare più ritorno.

 

LA TUTELA DEI DIRITTI DEI BAMBINI

I diritti dei bambini sono violati in ogni parte del mondo. Proprio perché deboli, i bambini sono dovunque oggetto di maltrattamento, violenza, abuso. In molti paesi i minori non sono trattati in modo umano nemmeno dalla giustizia e sono condannati all’ergastolo, quando non addirittura alla pena di morte. Amnesty International ha reso noto che tra il 1990 e il 2007 ci sono state almeno 62 esecuzioni di minorenni in 9 nazioni: Cina, Repubblica Democratica del Congo, Iran, Nigeria, Pakistan, Arabia Saudita, Stati Uniti, Sudan e Yemen. Quasi un terzo di queste esecuzioni (19) ha avuto luogo negli U.S.A., dove solo nel 2005 la Corte Suprema ha definito incostituzionale l’esecuzione di detenuti che avevano meno di 18 anni all’epoca del delitto. Attualmente, comunque, sono circa 2500 negli Stati Uniti i minori condannati all’ergastolo senza possibilità di scarcerazione.

Che bambini e adolescenti avessero dei diritti fu riconosciuto ufficialmente solo nel 1989, quando l’assemblea generale delle Nazioni Unite (ONU) approvò la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, un documento che in seguito fu sottoscritto da quasi tutti i paesi del mondo. L’Italia ha ratificato la Convenzione il 27 maggio 1991 con la Legge n. 176/91. Oggi gli Stati che hanno ratificato la Convenzione sono 191: mancano solo gli Stati Uniti e la Somalia che hanno firmato la Convenzione, ma non l’hanno ancora ratificata (cioè approvata praticamente, convalidata).

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LA CONVENZIONE SUI DIRITTI DELL’INFANZIA

La Convenzione è composta da 54 articoli e si basa  su quattro principi fondamentali:

a)     Non discriminazione (art. 2): i diritti sanciti dalla Convenzione devono essere riconosciuti a tutti i bambini / adolescenti, senza distinzione di razza, sesso, lingua, religione o altro.

b)     Superiore interesse (art. 3): in ogni occasione (legge, provvedimento, situazione problematica) deve essere preso in considerazione in primo luogo l’interesse del bambino / adolescente.

c)     Diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo del bambino (art. 6): gli Stati devono impegnare quante più risorse è possibile per tutelare la vita e il sano sviluppo dei bambini, anche mediante  la cooperazione tra Stati.

d)     Ascolto delle opinioni del minore (art. 12): i bambini devono essere ascoltati in tutti i processi decisionali che li riguardano, e gli adulti devono tenerne le opinioni in adeguata considerazione.

Copia integrale della Convenzione

Convenzione sui diritti dell’Infanzia spiegata ai bambini (a cura dell’Unicef)

 

IL SIMBOLO DELLA LOTTA CONTRO IL LAVORO MINORILE: IQBAL MASIH

Iqbal nacque in Pakistan nel 1983. A soli cinque anni cominciò a lavorare in condizioni di schiavitù, dopo che il padre lo aveva venduto a un fabbricante di tappeti per ripagare il  debito di 12 dollari contratto per il matrimonio della sorella maggiore. Iqbal fu costretto a lavorare incatenato a un  telaio per circa 14 ore al giorno, per una paga irrisoria (l’equivalente di pochi centesimi di euro al giorno). Diverse volte il ragazzo cercò di fuggire, ma veniva sempre riacciuffato e riportato dal padrone, che lo puniva tenendolo rinchiuso per ore e ore in una piccola cisterna quasi priva d’aria, chiamata da Iqbal “la tomba”.

Nel 1992 dopo essere uscito di nascosto dalla fabbrica, partecipò, insieme ad altri bambini, ad una manifestazione del “Fronte di Liberazione dal Lavoro Schiavizzato”, durante la quale decise di raccontare la sua disperata vicenda. In quell’occasione  conobbe il leader del Fronte di Liberazione, il sindacalista Eshan Ullah Khan, che da quel momento si prese cura di lui e lo accompagnò a una serie di conferenze internazionali dove Iqbal intervenne sui temi della schiavitù nel mondo e dei diritti dei bambini.

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Alla fine del 1994 gli venne assegnato un premio (sponsorizzato da un’azienda di calzature) di 15.000 dollari, con il quale Iqbal decise di finanziare una scuola in Pakistan, suo paese natale. In una conferenza a Stoccolma ebbe a dire: “Nessun bambino dovrebbe impugnare mai uno strumento di lavoro. Gli unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano sono penne e matite”. Ricevette poi altri premi e riconoscimenti che contribuirono a convincere il governo pakistano a chiudere decine di fabbriche di tappeti. Il suo attivismo, però, diede fastidio a qualcuno, perché il Il 16 aprile del 1995, quando aveva appena tredici anni, Iqbal venne assassinato mentre stava correndo in bicicletta con i suoi cugini.

Dopo la morte, a Iqbal vennero assegnati premi alla memoria e dedicate opere, come il film Iqbal, della regista Cinzia TH Torrini (1995) e il libro di Francesco D’Adamo, Storia di Iqbal (Firenze, le Monnier, 2002).

 

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